30 giu 2016

Banche: l'Ue dà ragione all'Italia

Banche: l'Ue dà ragione all'Italia

Garanzia pubblica per supporto valida in tutto 2016. Wsj, programma da 150 mld
La commissione europea ha dato domenica il via libera a un piano di sostegno pubblico alle banche italiane, da attivare da parte del Governo se necessario per fronteggiare eventuali turbolenze dei mercati. Emerge da una nota della commissione. Si tratta, secondo il Wall Street Journal, di una garanzia statale su 150 miliardi di liquidità per creare un programma preventivo di supporto alle banche, da attivare nel solo 2016 e per gli istituti solvibili, che rispetta le "regole sugli aiuti di Stato" in situazioni "eccezionali".
da ANSA.IT Redazione


29 giu 2016

Dove non arriva la rottamazione, arriva il M5S

Dove non arriva la
 rottamazione,
 arriva il M5S

Quando il Pd si chiude, gli elettori si allontanano. E ora hanno trovato un’alternativa
La sconfitta elettorale alle amministrative ha decretato una considerazione ineccepibile: la rottamazione a livello locale non è mai iniziata. Abbiamo assistito ad un partito che a livello locale risulta in molte zone inesistente, dove a decidere tutto sono poche persone.


L’errore che è stato commesso fino a questo momento è stato quello di voler vincere a tutti i costi, inglobando all’interno anche chi con il rinnovamento non aveva nulla a che fare e lasciando fuori dalle decisioni i militanti che più di tutti si sono sempre sacrificati per il partito. Molti per questo motivo si sono allontanati.


Rispetto agli anni passati, ora chi ha voglia di mettersi in gioco, vedendo il partito locale chiuso, arroccato su se stesso, ha un alternativa: il Movimento Cinquestelle. Ci sono tanti giovani e meno giovani, che non avrebbero nulla da invidiare a Raggi o ad Appendino, ma fino a questo momento sono rimasti isolati e messi in disparte dai potentati locali.


È da tempo che si lanciano messaggi a Matteo Renzi in merito alla situazione dei territori. Fino ad ora il grido di allarme non era stato ascoltato, ora dopo questa pesante sconfitta alle elezioni amministrative, più che con il lanciafiamme dovrebbe intervenire con la ruspa. Non c’è più tempo per rimandare la rottamazione anche a livello locale: o si interviene adesso o è a rischio anche il referendum di ottobre, con conseguenze su tutto il governo e sulla tenuta del Paese oltre che, ovviamente, del Partito democratico.


Matteo è il momento di intervenire, Adesso!
di Francesco Pepiciello per L' Unità.TV


Travaglio rimandato a settembre: di leggi elettorali non capisce nulla

Travaglio rimandato a settembre: 
di leggi elettorali non capisce nulla

La sua requisitoria contro l’Italicum è piena di sciocchezze e contraddizioni. La sufficienza è ancora lontana
L’Italicum non è sottoposto a referendum, ma è parte essenziale delle riforme volute dal governo. Insieme stanno, e insieme cadrebbero. È dunque ragionevole che, in vista del voto di ottobre, si discuta anche di legge elettorale. Ma bisognerebbe farlo con un briciolo di serietà, senza lasciarsi trascinare dalla rabbia e, soprattutto, sforzandosi di non imbrogliare gli elettori. Del resto, le leggi elettorali servono se funzionano, e funzionano se producono maggioranze e governi stabili: non sono cioè un capriccio del leader di turno, e dunque vanno (andrebbero) giudicate nel merito, non a seconda di chi le propone.


Purtroppo per i lettori del Fatto, la strada imboccata da Marco Travaglio va nella direzione opposta: quella dell’insulto e della scomunica. Definire Stefano Ceccanti “costituzionalista de noantri” può far sorridere il tifoso, ma non aiuta chi vorrebbe ragionare. Purtroppo, da Travaglio è difficile aspettarsi di più: anche perché il Nostro di sistemi elettorali capisce poco e nulla.


Oggi per esempio ha scritto che “i premi di maggioranza si chiamano così perché aiutano a governare chi ha la maggioranza, non chi è minoranza nel suo Paese”. Il che, evidentemente, è una sciocchezza sesquipedale: chi ha la maggioranza, come suggerisce la parola stessa, non ha bisogno di un premio di maggioranza, perché ce l’ha già; il premio è viceversa necessario per garantire la maggioranza assoluta dei seggi a chi ha conquistato la maggioranza relativa dei voti (e dunque è “minoranza nel suo Paese”).


Nella sua sgangherata requisitoria, Travaglio prima accusa l’Italicum di consentire al “partito vincente” di “intascarsi la maggioranza per governare da solo anche se vale un’infima minoranza del Paese”; poi, con un’elegante piroetta, si lamenta perché i 24 seggi assegnati dall’Italicum come premio di maggioranza “sono pochi per garantire stabilità assoluta”, perché “se 24 deputati lasciano il partito o si mettono di traverso, il governo va a casa” (dunque il premio va aumentato? O magari bisogna far firmare agli eletti il regolamento della Casaleggio Associati srl che infligge una multa di 250mila euro a chi dissente?).


Non pago, Travaglio si lancia nella difesa della “complessità dell’elettorato” e poi, senza neppure accorgersene, si lamenta perché l’Italicum consente la formazione di “listoni artificiali e artificiosi con tutti dentro” (ma non aveva appena parlato di partito unico?). Insomma, siamo ancora lontani dalla sufficienza. Fortunatamente prima del referendum c’è l’estate, e speriamo che Travaglio la sfrutti per studiare almeno i fondamentali.
Fabrizio Rondolino per L' Unità.TV


28 giu 2016

Bill Evans - At Shelly's Manne-Hole (1963 Album)


Autostrade elettriche, tir come filobus in Svezia

Autostrade elettriche, tir
 come filobus in Svezia

Avviata sperimentazione su tratto di 22 km
Tir come filobus, che corrono in autostrada con un motore elettrico, alimentato dai cavi sopra la carreggiata tramite un pantografo. L'"autostrada elettrica" ("eHighway") è un esperimento che è stato avviato nei giorni scorsi in Svezia, su di un tratto di 22 km fra la città di Gavle e la capitale norvegese di Oslo. La sperimentazione andrà avanti per due anni, e rientra nell'obiettivo del governo svedese di eliminare del tutto i combustibili fossili dal settore trasporti entro il 2030. Il pantografo dei tir è programmato per collegarsi al cavo sopra la carreggiata quando il mezzo supera i 90 km all'ora. Fuori dall'autostrada, il mezzo può muoversi con il motore diesel. Gli ingegneri della Siemens hanno previsto la possibilità che i tir possano alimentarsi anche con batterie elettriche o gas naturale. Il progetto è stato sviluppato dal colosso tedesco Siemens (che lo ha illustrato sul suo sito) e utilizza due tir ibridi della Scania, attrezzati con pantografo.


I trasporti producono un terzo delle emissioni svedesi di CO2, e metà di queste emissioni vengono dal comparto merci. Il governo di Stoccolma vuole capire se l'autostrada elettrica per i tir è una soluzione praticabile per ridurre l'inquinamento.


"La maggior parte dei beni trasportati in Svezia viaggiano sulle strade, ma solo una parte limitata di questi può essere movimentata per altre vie - ha spiegato il progettista capo della Amministrazione svedese dei trasporti, Anders Berndsson -.


Questa è la ragione per la quale dobbiamo liberare i i camion dalla loro dipendenza dai combustibili fossili. Le strade elettriche offrono questa possibilità e sono un eccellente complemento al sistema dei trasporti".
da ANSA.IT


Farage-M5S e gli altri: la strana accozzaglia del No alla risoluzione sulla Brexit

Farage-M5S e gli altri: la strana accozzaglia
 del No alla risoluzione sulla Brexit

Il Parlamento europeo vota la risoluzione sull’uscita del Regno Unito. Tra i 200 No anche quelli di Lega e Cinquestelle, sempre più legati al fronte anti-europeo
Nigel Farage, Marine Le Pen e con loro i rispettivi alleati di casa nostra: Cinquestelle e Lega. L’asse euroscettico che avrebbe dovuto festeggiare il successo del Leave al referendum britannico oggi ha invece votato No alla risoluzione del Parlamento europeo approvata con 395 Sì, 200 No e 71 astenuti, che chiede tempi rapidi per la Brexit, auspicando un avvio delle procedure già nel Consiglio europeo che parte oggi. Perché?


Gli oppositori italiani lamentano la bocciatura dei rispettivi emendamenti presentati in aula. Ma a leggere i testi, è difficile credere a questa motivazione. Quelli del gruppo dell’Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd), sottoscritti anche dal grillino Pedicini, contenevano correzioni poco più che formali, oltre a invitare il Consiglio europeo ad “adottare un mandato negoziale per la conclusione di un accordo con il Regno Unito”, provando così a estromettere dall’incarico di mediatore la Commissione europea, indicata invece esplicitamente nella risoluzione approvata. Più pittoreschi quelli del leghista Fontana (gruppo Enf), che chiedeva di inserire diciture quali “il progetto europeo è un drammatico fallimento” o “chiede le dimissioni del Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, sulla base della sua inettitudine […]”, o di rallentare il procedimento di Brexit e di relativa riorganizzazione delle istituzioni comunitarie.


Al fronte del No si sono iscritti anche gli europarlamentari della Sinistra europea (da citare l’emendamento sottoscritto anche dall’italiana Spinelli, che chiedeva di “trovare un compromesso, mediante ogni accordo, affinché l’Irlanda del Nord possa restare membro dell’Ue”) e il gruppo dei Conservatori e riformisti, che comprende i Tories britannici ma anche l’italiano Raffaele Fitto.


Il risultato è quello di un’accozzaglia politicamente poco definita, intenzionata solo ad opporsi alla maggioranza che esprime la Commissione europea. E fin qui, è il gioco delle parti della politica. Un dato più rilevante è invece quello che vede il M5S rimanere saldamente a braccetto con Farage, nonostante in Italia gli stessi Cinquestelle neghino di condividerne la linea anti-europea, anche a costo di rallentare un processo voluto e votato dai cittadini britannici: se i loro partner inglesi possono avere interessi a trattare un’uscita dignitosa per evitare che il processo si ritorca contro loro stessi, perché il M5S a parole campione della democrazia diretta, nei fatti frena sugli effetti del referendum?
Rudy Francesco Calvo per L' Unità.TV


Tutti i vantaggi di uno spostamento della City da Londra a Milano

Tutti i vantaggi di uno spostamento
 della City da Londra a Milano

La città italiana presenta moltissimi vantaggi per ospitare il distretto bancario europeo
I “profughi” di Canary Warf valgono il 10% del Pil della Città Metropolitana. È questa la ricchezza che potrebbe essere trasferita da Londra a Milano nei prossimi 5 anni a seguito della Brexit.


Una stima che potrebbe rivelarsi addirittura prudenziale rispetto ai valori in gioco ma la cui cifra reale dipende dalla volontà politica del Governo italiano e dall’audacia e velocità dell’amministrazione comunale di Milano.


A giudicare dalla reazione di Beppe Sala dopo il referendum del 23 giugno le condizioni sembrano essere molto favorevoli. Il neo sindaco di Milano ha infatti dichiarato che “la posta in gioco riguarda la possibilità di attrarre a Milano istituzioni finanziarie che potrebbero migrare dalla City per servire meglio i loro clienti europei. Dobbiamo candidarci subito a ospitare l’Autorità bancaria europea (Eba)”.


Ma quale potrebbe essere l’impatto di uno spostamento della City di Londra a Milano? In base agli studi elaborati dalla società di consulenza PWC per conto del Comune di Londra nella primavera di quest’anno, la Brexit potrebbe costare una perdita complessiva di PIL, entro il 2020, tra 55 e 100 miliardi di sterline rispetto ai valori del 2015. Limitandosi al sole settore finanziario, la perdita di PIL sarebbe tra 7 e 12 miliardi di sterline. A questo si aggiunga che ammonta a 300 miliardi di euro, pari al 12% del Pil britannico, la ricchezza generata ogni anno dalla City mentre sono 360mila i dipendenti di società della filiera dell’industria finanziaria impiegati a Canary Warf, il distretto finanziario della città.


Per raggiungere questo obiettivo Milano dovrà tuttavia affrontare un’agguerrita concorrenza. A cominciare da Dublino, Paese anglofono a due passi da Londra che ha un’aggressiva agenzia nazionale per gli investimenti e un hub finanziario che esiste dagli anni ’80 soprattutto nel campo del risparmio gestito (hedge fund), del trading e dei servizi per la clientela retail (back office). Poi c’è Parigi dove è già presente un importante distretto finanziario.


Il Presidente dell’Ile-de- France, Valérie Pécresse, subito dopo la Brexit ha dichiarato di essere “pronta ad accogliere tutti coloro che vogliono tornare in Europa”. “Benvenuti nella Regione di Parigi – ha poi aggiunto – la nuova Londra”. Infine Francoforte la cui Borsa si è da poco apparentata con quella di Londra, e di cui fa parte anche Milano, il principale hub finanziario d’Europa fuori dal Regno Unito.


Ma quali sono i principali vantaggi che può mettere in campo Milano? Per prima cosa un’anima storicamente “mercantile” della città forte tanto quanto quella Londinese. Aggiungiamo una qualità della vita decisamente migliore e affitti molto più bassi. Pensiamo ad esempio che nei grattacieli di Canary Warf si paga sino a 1.200 euro al mq all’anno contro i 350-500 di Milano.


Per l’accoglienza delle società e dei manager provenienti dalla City c’è la disponibilità di importanti aree a due passi dal centro da trasformare (lo scalo di Porta Romana per esempio) o più periferiche, ma di grande qualità e accessibilità, come Area Expo e Cascina Merlata. Non trascuriamo infine la presenza di Università economiche, tra le prime in Europa, che possono alimentare di giovani talenti i desk delle società finanziarie.


Se Milano dovesse riuscire quindi a intercettare, entro il 2020, anche solo il 10% del PIL perso dal Londra si tratterebbe di una cifra tra 6 e 12 miliardi di euro, pari al 10% del Pil attuale della Città Metropolitana.


Probabilmente il più grande catalizzatore di crescita dai tempi del dopoguerra.
di Fabrizio Barini per l' Unità.TV